
Dal bubù-settete al nascondino, alla costruzione di una propria “tana” in cui rifugiarsi, i bambini perfezionano nel tempo il gioco del nascondersi, divertendosi e, allo stesso tempo, sviluppando diverse abilità e competenze
Dietro la tenda, sotto il tavolo, dentro un rifugio improvvisato con una coperta o in un angolo buio: a tutti i bambini, da sempre, piace nascondersi, rintanarsi, poter sbirciare il mondo lontani dallo sguardo dell’adulto e poi magari “a sorpresa” riapparire. Si tratta di un gioco universale che li attrae, affascina e diverte e attraverso cui hanno la possibilità di crescere sotto vari aspetti.
Sparire per poi ritornare
Il gioco del nascondersi si sviluppa e si perfeziona nel tempo. È presente già nella prima infanzia (2-3 mesi di età), tra i primi giochi di relazione proposti dagli adulti. Che sia “cucù” o “bubù-settete” o altre variazioni sul tema, il gioco prevede sempre che l’adulto si nasconda per qualche istante alla vista del bambino, celando il viso tra le mani o dietro un oggetto. Le espressioni sui volti, le risate, la sorpresa, a volte la paura, accompagnano questo “nascondersi e riapparire” che rinforza il legame con le figure di riferimento e ha un valore importante anche nel processo di costruzione dell’identità del piccolo che, proprio nelle prime fasi della sua vita, è impegnato a distinguere tra sé e il mondo esterno; il bambino impara così a riconoscere i familiari e a comprendere che una persona continua a esistere anche quando si allontana dal suo campo visivo, sa riconoscere le reazioni emotive dell’altro, inizia a muoversi in maniera indipendente.
Intorno ai 6 mesi, con un picco verso i 15, il bambino può sperimentare l’ansia della separazione, cioè la paura di essere diviso dalle figure genitoriali o di accudimento. Attraverso il gioco del face to face impara che mamma e papà «possono sparire ma poi ritornano sempre». Il piccolo assimila molto facilmente il meccanismo ludico e, appena in grado, sarà lui stesso a proporre il gioco all’adulto e a condurlo.
Dove sei, dove sono
Man mano che diventa più grande e sviluppa le proprie abilità e competenze, il bambino vorrà provare sempre di più ad agire sul mondo e scoprire come si possono provocare gli eventi. Continuerà dunque ad appropriarsi dei fenomeni legati al nascondere o nascondersi, ad esempio diventando autore delle più diverse sparizioni di oggetti (dentro una mano, sotto la maglietta, dietro la schiena), chiedendo all’adulto di ritrovarli e godendo dell’effetto “stupore” e “magia” che ne segue. Diventerà capace di utilizzare abilità complesse nel classico “nascondino”, un gioco ricco di diversi elementi che rispondono ai bisogni di crescita attraverso le età. Il nascondino infatti non perde mai il suo fascino perché dà la possibilità di sperimentare alcune dimensioni che appartengono all’intera esperienza umana, come la sfida, il rifugio, il silenzio, il perdere, il cercare e trovare. In questo gioco, come nel “cucù”, sono le persone a scomparire: io, gli altri. Quando il bambino è piccolo sentirà di essersi nascosto coprendosi solamente il volto, anche se il resto del corpo rimane in vista: questo succede perché la sua percezione rispetto alla presenza dell’altro si basa ancora prevalentemente sul contatto visivo. Successivamente cercherà di mimetizzarsi sempre meglio, per intero, e allo stesso modo accetterà di non vedere l’intera figura di chi si nasconde giocando con lui, anche se, per gestire le emozioni di paura legate alla scomparsa, cercherà il contatto vocale («Dove sei?», chiederà spesso, o dal suo nascondiglio pronuncerà qualche parolina o verso per farsi individuare o dirà ad alta voce «Dove sono?» o «Sono qui!»). Ciò accade perché il piccolo ha ancora bisogno di sincerarsi che sia lui sia l’altro, per quanto nascosti, non siano mai “spariti” del tutto. Intorno ai 4 anni (chi prima chi dopo), il bambino sarà invece in grado di avventurarsi nel fitto del mistero delle sparizioni, giocando anche in maniera più complessa con i propri coetanei e affrontando con maggiore padronanza le emozioni suscitate dal gioco.
La propria tana
Un’altra manifestazione del gioco del nascondersi è la costruzione della propria tana. Anche in questo caso possiamo osservare che si tratta di un gioco che si affina con l’età. Il bambino infatti diviene sempre più abile nelle costruzioni, attento ai dettagli, e la sua “casa” diviene lo spazio dove trascorrere sempre più tempo, da soli o con altri bambini. Dalla scatola di cartone al rifugio vero e proprio, osservare i piccoli compiere i passaggi necessari è sempre molto interessante: scelgono il luogo, cercano un modo per separarlo dal resto del mondo, vi portano i loro oggetti preziosi, vi si infilano dentro da un passaggio stretto.
Anche se la casa-giocattolo prefabbricata risulterà sempre attraente, i bambini provano ancor più soddisfazione (e dargli questa possibilità è educativamente importante) quando possono realmente essere protagonisti della costruzione della tana, che sia in ambiente domestico (creando le soluzioni architettoniche più disparate con sedie, scrivanie, cuscini, ante dei mobili…) o ancor meglio in quello naturale (con rami, foglie, sassi e altri elementi), creando, sviluppando autonomia e mentalità progettuale.
Dentro il proprio “nido” il bambino si sente al sicuro, protetto. Percepisce sé stesso nella sua globalità:
- nello spazio stretto “sente” il proprio corpo e impara così a muoversi con equilibrio e delicatezza;
- a volte rimane in silenzio, ascolta il battito del proprio cuore o i suoni che provengono dall’esterno, elabora idee, pensieri, nutre la propria mente fantasticando;
- fa smorfie, rumori, inventa storie, fa finta di essere un altro, lì dove nessuno lo guarda si esprime liberamente;
- si prende cura del suo spazio, vi porta dentro i suoi giochi preferiti, gli oggetti segreti;
- vive la propria dimensione intima, a contatto con le proprie emozioni, spesso si rassicura e rilassa quando “fuori è troppo”, trovando così una situazione adatta ai propri bisogni del momento.
A volte il bambino aprirà le porte del suo rifugio ad altri, che siano coetanei con cui condividere giochi e fantasie o adulti con cui stare insieme in uno spazio riservato, leggere una storia, farsi delle coccole. In tutti i casi è importante rispettare la privacy costruita dal piccolo e il lavoro da lui svolto per “far suo” quel luogo. Nella nostra società, in cui i bambini sono spesso “controllati a vista”, è necessario più che mai restituire loro un sano spazio di libertà e quella “cura del privato” che li aiuterà a coltivare sé stessi per tutta la vita.
