
Attraverso il gioco libero, fatto di sperimentazioni, tentativi ed errori, il bambino acquisisce tutta una serie di competenze che gli saranno indispensabili per diventare autonomo nella sua vita quotidiana
Il bambino, esploratore e “ricercatore” per natura, impara a conoscere e a comprendere l’ambiente circostante tramite l’esperimento, la pratica, il tentativo e l’errore. A mano a mano che cresce, prende confidenza con il proprio corpo, le mani, le parole e le emozioni, divenendo sempre più competente e in grado di controllarsi e orientarsi con precisione e consapevolezza. Per raggiungere tale equilibrio gli occorrono spazio, libertà, possibilità di sbagliare e autocorreggersi ed esercizio.
Il gioco del neonato
I genitori di un bambino piccolo, a volte, e soprattutto se si tratta del primogenito, tendono a lasciargli troppo poco spazio, tempo e libertà. Giocano sempre insieme a lui – con le migliori intenzioni, certo: per fargli compagnia, aiutarlo, proteggerlo –, anche quando potrebbe fare da solo. Il pericolo che il piccolo soffra di solitudine, in realtà, non c’è, se si risponde prontamente ai suoi richiami: il bambino sa tutelarsi, e se vuole compagnia è capace di farlo capire già dai primi mesi di vita. Quando il piccolo, a 6 o 7 mesi, è pacificamente disteso per terra, attratto dagli oggetti che cadono sotto il suo sguardo o incantato da una giostrina posta sopra la sua testa, tutto ciò che l’adulto dovrebbe fare è osservare il bambino mentre “interagisce” con ciò che lo interessa, mantenendo una debita distanza per non disturbare e intervenendo solo se e quando richiesto. In questo modo si concederà al piccolo di “studiare” ed esplorare liberamente il suo ambiente, seguendo i propri ritmi di scoperta. I sensi guidano le esplorazioni dei bambini: essi indagano superfici, oggetti (e anche le persone!) tramite i loro canali sensoriali, privilegiando il tatto. E non toccano solo con le mani, ma usano tutto il corpo: le gambe, la schiena, il volto, e ovviamente la bocca. Toccando, prendono confidenza con le diverse qualità degli oggetti: “grosso” , “liscio”, “duro”, “ruvido”, “caldo”, “morbido”...
Uno spazio protetto dove esercitarsi
Non è necessario insegnare al bambino a giocare: se gli si lasciano spazio e tempo a volontà, il piccolo saprà impiegarli per l’esercizio e l’affinamento delle competenze motorie e manuali, tramite l’esplorazione dell’ambiente che lo circonda e l’incontro con gli oggetti a portata di mano. Maria Montessori definiva le sue aule scolastiche “palestre della vita”, per restituire con tale espressione il prezioso compito del “gioco” (che chiamava “lavoro”, in modo da sottolinearne
l’importanza per la crescita) come esercizio per la vita. Durante le attività ludiche, infatti, il bambino impara a conoscere sé stesso, i propri limiti fisici, le proprie preferenze e prende confidenza di sé in relazione allo spazio e agli oggetti.
Affinché l’investimento del bambino nel gioco non sia vano, però, occorre non limitare la libera attività del piccolo al solo contesto ludico (sul suo tappeto, nella sua cameretta), ma consentirgli invece di utilizzare le competenze apprese in un contesto reale, nella vita quotidiana, quella di cui fanno parte anche gli altri membri della famiglia. La “messa in opera” del sapere conquistato, infatti, dà soddisfazione e gratificazione al bambino, che comprenderà, tramite l’esperienza, l’utilità dell’esercizio.
Il valore educativo dell’errore
L’errore è parte essenziale dell’esercizio: se non si sbagliasse mai sarebbe difficile conoscere il proprio potenziale di miglioramento. L’ambiente “parla” direttamente al bambino, rendendolo consapevole di errori e successi, senza la necessità che l’adulto svolga un ruolo di intermediario. A volte, per comprendere dove si è sbagliato, occorre soltanto non essere soccorsi tempestivamente o non venire sostituiti nell’azione dai genitori, ma avere il tempo per accorgersi dell’errore e provare a porvi rimedio tramite un nuovo tentativo. Ciascun bambino dovrebbe poter sbagliare e tentare di fare meglio sentendosi sostenuto e incoraggiato da un adulto presente e attento, ma rispettoso e paziente.

Un ambiente a misura di bambino
L’ambiente, in tutto ciò, può facilitare il piccolo, diventando un sostegno e non un ostacolo. Se, ad esempio, un bambino di 2 anni volesse versare in autonomia dell’acqua in un bicchiere e avesse a disposizione solo una bottiglia di dimensioni adatte alle mani di un adulto, potrebbe faticare molto e, forse, fallire. Questo accadrebbe non a causa della sua incompetenza, ma per via di un ambiente inadatto. Le mani del bambino dovrebbero trovare intorno a sé oggetti che facilitino la conquista dell’autonomia, rendendo semplice e piacevole l’esercizio. Creare un ambiente di apprendimento adeguato è responsabilità dell’adulto che accompagna la crescita del piccolo, e che dovrebbe quindi scegliere, organizzare e disporre nello spazio materiali a misura di bambino. In caso contrario, la sua presenza sarebbe troppo spesso indispensabile e ostacolerebbe il cammino verso l’indipendenza.
Maria Montessori comprese inoltre che l’ambiente, per poter “parlare” direttamente al bambino, deve essere dotato di una caratteristica particolare: il controllo dell’errore. Facciamo un esempio per capire di che cosa si tratta. Marta ha 3 anni e adora annaffiare le piante, ma spesso riempie l’annaffiatoio fino all’orlo, bagnando poi inevitabilmente per terra. In che modo l’adulto può intervenire sull’ambiente per aiutare Marta, senza privarla dei suoi spazi di autonomia? Potrebbe porre una tacca sull’annaffiatoio che indichi alla bambina quando è tempo di chiudere il rubinetto! Un altro esempio: quando un bambino desidera soffiarsi il naso da solo, si potrebbe invitarlo a svolgere l’azione davanti a uno specchio, così che possa controllare efficacemente il risultato della propria operazione.
Il bambino protagonista
Intorno ai 14-18 mesi il bambino entra in un periodo particolare della crescita, nel quale invia precisi segnali all’adulto per manifestare il desiderio di partecipare alle azioni di cura della propria persona o dell’ambiente. Durante la vestizione, l’igiene personale, il riordino della cucina, la piegatura dei panni, il bambino esprime la volontà di prendere parte alle attività non più come semplice spettatore, ma come co-protagonista. In che modo ci si può comportare per accogliere questa richiesta? Dilatando i tempi, e offrendo così al bambino lo spazio per agire e manifestarsi. Quando lo si veste, ad esempio, potrà essere utile rallentare la procedura (infilare la maglietta, sfilare i pantaloni, infilare i calzini...) per permettere al bambino di inserirsi dove desidera farlo: inizialmente potrebbe abbassare i pantaloni, oppure infilare la testa nel collo della maglietta per poi distendere il braccio nella manica una volta invitato a farlo. Questa fase di autonomia parziale non è superflua, ma fondamentale per prendere confidenza con il proprio corpo e la propria volontà in relazione alle procedure da svolgere. È un investimento di tempo prezioso, perché non si diventa autonomi improvvisamente ma a piccoli passi: occorre esercitarsi!
Agire in libertà
Non bisogna mai dimenticare, infine, che i bambini non si limitano a re-agire, ma agiscono: sanno prendere l’iniziativa, attratti da ciò che trovano nell’ambiente in cui vivono. Per tale ragione è importante che abbiano tutto il tempo di esplorare il loro contesto di vita in libertà, lasciandosi guidare esclusivamente dai propri interessi e senza essere impegnati costantemente in attività strutturate dall’esterno. L’adulto dovrà intervenire solo per fermare le azioni che rischiano di provocare danni al bambino, all’ambiente o a un’altra persona. In tutti gli altri casi, nonostante talvolta sia difficile capire qual è il disegno o l’intenzione che guida l’agire del piccolo, il miglior regalo che gli si può offrire è semplicemente osservarlo, lasciandosi conquistare dall’affascinante segreto dell’infanzia.