
Winnicott lo chiamava “oggetto transizionale”, ovvero un oggetto materiale che aiuta il piccolo non solo a gestire i momenti di separazione o di stress, ma anche a crescere e allontanarsi progressivamente dalla figura di riferimento.
Un fazzoletto, una bambola, un orsetto di peluche, il ciuccio, una macchinina… Capita spesso che il bambino si affezioni a un oggetto o a un giocattolo e che inizi a portarlo sempre con sé, senza mai volersene separare. Di fronte a questo comportamento, i genitori possono rimanere stupiti, a volte preoccuparsi; la maggior parte delle volte intuitivamente riconoscono che si tratta di qualcosa di importante: il fatto che quell’oggetto abbia assunto un significato speciale per il piccolo riguarda infatti i suoi bisogni più profondi.
L’oggetto transizionale
Il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott si occupò a lungo di analizzare questo comportamento e nel 1951 coniò il termine “oggetti transizionali” per indicare un oggetto materiale capace di soddisfare, nel lattante, la rappresentazione dell’unione con la madre e del suo possesso. Il bambino, solitamente tra i 6 e gli 8 mesi di vita, inizia ad aprirsi al mondo esterno e a provare inquietudine (quella che viene comunemente chiamata “ansia da separazione”) quando la figura materna si allontana anche solo temporaneamente. L’oggetto transizionale, spesso impregnato di odori della mamma e del bimbo stesso, viene sfiorato, stretto, accarezzato, succhiato, compensando in qualche modo l’assenza, consolando e rassicurando il piccolo. Si potrebbe pensare che stabilire un legame così forte con un oggetto sia una manifestazione di debolezza del bambino, che non sa affrontare il distacco dalla madre. In realtà, anche se non tutti i bambini lo utilizzano (o comunque non allo stesso modo), la comparsa dell’oggetto transizionale ci indica che siamo di fronte a un momento particolare di sviluppo in cui il piccolo inizia a realizzare di essere un individuo separato dalla
madre. Winnicott sostiene dunque che l’oggetto transizionale, che consola fornendo sensazioni “familiari”, aiuti il bambino a gestire i momenti di separazione o di stress, permettendogli di crescere e staccarsi progressivamente dalla figura di riferimento.
Una coperta per crescere
Nelle strisce dei Peanuts, famosi fumetti realizzati da Charles M. Schulz, il personaggio di Linus, un bambino non più lattante, porta sempre con sé la sua coperta. Anche nella realtà può accadere che il bambino, seppur non più piccolissimo, continui ad avere un oggetto di riferimento verso cui mostra una particolare affezione. In questi casi, anche se in maniera diversa rispetto ai primi mesi di vita, l’oggetto continua a svolgere il suo compito di conforto, di supporto alla “regolazione esterna” delle emozioni del bambino nelle esperienze di distacco dalla famiglia, ad esempio quando il piccolo entra a far parte delle prime comunità infantili. Il bambino deve infatti imparare a conoscere e regolare il proprio mondo emotivo nelle varie situazioni che incontra ogni giorno. Paura, rabbia, gioia, tristezza inizialmente prendono il sopravvento all’interno delle sue esperienze, quasi senza che lui se ne accorga. In quei momenti il piccolo ha bisogno di un aiuto esterno: gli adulti di riferimento che lo guidano e che gli fanno da esempio, rifugio e contenimento. La capacità di regolare il proprio comportamento, tollerare frustrazioni e affrontare situazioni stressanti, fa un “salto” di maturazione intorno ai 24-36 mesi, quando i bambini sviluppano nuove competenze per “fare da soli” anche di fronte alle difficoltà, riescono sempre meglio a leggere e a interpretare le proprie e altrui emozioni, e vogliono comportarsi “come i grandi”
(sono quindi motivati ad abbandonare alcune abitudini). Anche dopo i 3 anni il bambino potrebbe avere degli oggetti preferiti, che magari ruotano o cambiano nel tempo in base agli interessi del momento, o che sono legati a dei ricordi
particolari.

Rituali magici
Anche se la funzione “consolatoria” di questi oggetti va pian piano a scemare in modo naturale, a volte il bambino può continuare a servirsene per esorcizzare qualche paura. Gli oggetti entrano così a far parte dei “rituali magici”, ovvero azioni e parole ripetute schematicamente dal piccolo in determinate circostanze. Una funzione dei rituali è proprio quella difensiva e rassicurante, fondamentale in età evolutiva specialmente per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. Un rituale può servire a controllare una paura, come ad esempio quando ogni sera, per addormentarsi, il bambino porta con sé nel letto un determinato oggetto sussurrandogli delle parole misteriose. Il rituale può avere
anche una funzione propiziatoria («Quando gioco a pallone con i miei compagni, voglio sempre mettere la stessa maglietta perché mi porta fortuna!»), dando al bambino la sensazione di poter agire sulla realtà, di domarla. Alcune tipologie di oggetti e giocattoli preferiti dai bambini possono rappresentare anche degli amici immaginari con cui giocare di fantasia, o “personificare” alcune qualità e “poteri” particolari (la forza, il coraggio, l’abilità) in cui il bambino si immedesima.
Tutti questi comportamenti sono legati al “pensiero magico”, ovvero il modo in cui i bambini pensano, vivono, conoscono, interpretano il mondo e si relazionano con esso. Pensare “magicamente”, soprattutto nei primi 7 anni di vita, vuol dire, tra le altre cose, poter credere che esistano volontà sconosciute che regolano gli eventi, immaginare che tutte le cose abbiano un’anima, avere una concezione dello spazio e del tempo molto fluida e non vincolante.
Come comportarsi?
Saper leggere cosa si nasconde dietro i comportamenti dei piccoli, senza sminuirli (con frasi come: «In fondo sono solo cose da bambini!») e riconoscendone invece il significato profondo, favorisce una relazione educativa ricca e improntata al rispetto reciproco. Per rispettare il legame speciale che il bambino stabilisce con oggetti e giochi, si possono attuare alcune accortezze educative:
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Non forzare il bambino ad abbandonare il suo oggetto preferito, né sceglierlo al posto suo o cambiarglielo.
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Riconoscere il valore che il bambino dà all’oggetto, trattando quest’ultimo con cura e attenzione e consentendo al piccolo di portarlo con sé quando ne ha necessità.
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Non prendere in giro o umiliare il bambino per le sue abitudini.
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Non forzare la condivisione. Ad esempio, se invitiamo a casa nostra altri bambini, possiamo valutare la possibilità di concordare preventivamente con il piccolo che “quel” gioco verrà custodito lontano da mani indiscrete, mentre gli altri verranno utilizzati liberamente insieme a tutti i compagni.